sabato 30 aprile 2011

King Diamond - "Give Me Your Soul...Please"

Titolo: Give Me Your Soul...Please
Autore: King Diamond
Genere: Heavy Metal
Anno: 2007
Etichetta: Massacre Records
Voto: 6
Sito internet: www.covenworldwide.com


Amo King Diamond alla follia, di conseguenza ogni parola che scrivo è sicuramente influenzata dalla passione per questo immenso Gruppo, e ci tengo a usare la G maiuscola perché è vero che King è un genio, (è il Re!), ma gran parte del successo lo deve anche ai validissimi musicisti di cui si è sempre circondato nella sua lunga carriera.
Ogni uscita targata King Diamond è sinonimo di alta qualità, tuttavia da qualche anno a questa parte anche la vena creativa di King ogni tanto da segni di cedimento, con uscite non sempre all’altezza della situazione.
La carriera discografica di King Diamond si può dividere in due parti: la prima (la migliore e la più fortunata) va dall’esordio fino al 1995, comprendente classici come “Abigai”l e “Them” e altri grandi album come “The Eye” e “The Spyder’s Lullabye”; la seconda comincia con il deludente “The Graveyard”, si risolleva leggermente con “Voodoo”, scivola nuovamente su “The House Of God” per poi rialzarsi magnificamente con “Abigail pt. II” e “The Puppet Master” (più un ottimo live album).
Quest’ultimo “Give Me You Soul…Please” purtroppo si posa sul lato sbagliato della bilancia, avvicinandosi ad album poco ispirati come “The Graveyard” e “House Of God”.
Il primo punto debole risiede nei suoni, sottili e scarni proprio come nei due dischi appena citati. In passato il suono delle chitarre era potente e corposo, e insieme a basso e batteria la resa generale era veramente heavy. Ora invece il tutto suona molto leggero, più freddo e di conseguenza privo di forza.
Il secondo punto debole invece è la struttura dei brani, semplici, meno intricati che in passato e con assoli meno ispirati.  “Never Ending Hill” e “Is Anybody Here” sono un esempio di quanto esposto finora: brani sotto la media e scarni dove King più che cantare sembra recitare un testo. A dirla tutta l’atmosfera di queste canzoni (e di altre come “Mirror Mirror” e la title track) si adatta più ai Mercyful Fate che a King Diamond.
Sia chiaro: il disco nel complesso non è male, il discorso fatto all’inizio circa il marchio di qualità di King Diamond vale sempre, tuttavia siamo molto lontani dagli standard a cui ci eravamo abituati.
Difficile fare una classifica dei brani, l’unico che mi è rimasto impresso è “The Floating Head”, con il suo riff secco e tagliente accompagnato da un bell’assolo verso la fine.
Insomma, peccato…ma non c’è da preoccuparsi più di tanto, presto King si rimetterà in carreggiata e sfornerà un nuovo capolavoro! Ne sono certo.

Tracklist

1) The dead - 1:57 (Diamond)
2) Never Ending Hill - 4:37 (La Rocque/Diamond)
3) Is Anybody Here? - 4:13 (Diamond)
4) Black of Night - 4:01 (La Rocque/Diamond)
5) Mirror Mirror - 5:00 (Diamond)
6) The Cellar - 4:31 (La Rocque/Diamond)
7) Pictures in Red - 1:27 (La Rocque/Diamond)
8) Give Me Your Soul - 5:29 (La Rocque/Diamond)
9) The Floating Head - 4:47 (La Rocque/Diamond)
10) Cold as Ice - 4:30 (Diamond)
11) Shapes of Black - 4:22 (Diamond)
12) The Girl in the Bloody Dress - 5:07 (Diamond)
13) Moving on - 4:06 (Diamond)

Lineup

King Diamond - voce, tastiere
Andy LaRocque - chitarra, tastiere
Mike Wead - chitarra
Hal Patino - basso
Matt Thompson - batteria
Livia Zita - voce addizionale

martedì 19 aprile 2011

Artillery - "My Blood"

Titolo: My Blood
Autore: Artillery
Genere: Thrash
Anno: 2011
Etichetta: Metal Mind Production
Voto: 7
Sito internet: www.artillery.dk




















Per fortuna l’abito non fa il monaco, perché se si dovesse giudicare i dischi degli Artillery dalle copertine ci sarebbe da rabbrividire!
Ma fortunatamente ciò che conta è la sostanza, e con gli Artillery si va sempre a colpo sicuro.
Pare che la band stia proprio vivendo una seconda giovinezza dal punto di vista creativo. Dopo l’annunciata reunion nel 2007, concretizzatasi due anni più tardi con la pubblicazione di “When Death Comes” (una bastonata thrash come non si sentiva da parecchio tempo), gli Artillery si sono subito rintanati in studio per dare alla luce il degno successore che risponde al nome di “My Blood”.
Ed è proprio la musica ad essere la linfa vitale di questi quattro ragazzi (un po’ cresciutelli) che nel 2011 suonano un genere che trasuda passione da ogni nota. Stilisticamente non ci sono novità, il sound degli Artillery non è cambiato nel corso degli anni rimanendo saldamente ancorato a un classico thrash metal veloce, potente e tecnico, condito da un pizzico di melodia che rende i brani più fruibili e tirati, specialmente nei ritornelli. Su tutto troneggia la voce potente e sguaiata di Nico Adamsen.
La produzione è ottima, i suoni sono limpidi e ben definiti. I brani sono tutti di alto livello e la prima parte del cd non concede tregua: “Mi Sangre”, “Monster”, “Death Is An Illusion”, “Dark Days” e “Aint’ Giving In” picchiano davvero duro. Ma dopo la tirata e un po’ commerciale “Thrasher” (un inno metallico da urlare dal vivo: “Raise your hands/Thrasher!/Bang your head/Thrasher!/Scream it out/Thrasher”!) c’è un leggero calo del disco con brani un po’ più deboli (“Warrior Blood” , “Concealed In The Dark”, “The Great”) che comunque non vanno a intaccare il valore complessivo dell’album.
Il cd è disponibile anche in versione digipack, contenente due classici degli Artillery, “Show Your Hate” ed “EternalWar”, tratti dal primo lavoro “Fear Of Tomorrow” del lontano 1985 e riarrangiati per l'occasione.
Dopo ripetuti ascolti, l’impressione che “My Blood” sia leggermente inferiore a “When Death Comes” è piuttosto evidente. “My Blood” è un album più diretto, con brani meno strutturati e più lineari, e dunque di più facile assimilazione (ma non banali, sia chiaro).
Il giudizio finale comunque non può essere che positivo. Gli Artillery sono sinonimo di garanzia in fatto di musica di qualità.

Tracklist

1. Mi Sangre (The Blood Song)
2. Monster
3. Dark Days
4. Death Is An Illusion
5. Ain´t Giving In
6. Prelude To Madness
7. Thrasher
8. Warrior Blood
9. Concealed In The Dark
10. End Of Eternity
11. The Great

Lineup

Søren Adamsen - voce
Michael Stützer - chitarra
Morten Stützer - chitarra
Anders Gyldenøhr - batteria (Hatesphere)
Mikael Ehlert - basso (Hatesphere)

King Kobra - "King Kobra"


Titolo: King Kobra
Autore: King Kobra
Genere: Hard Rock/Glam
Anno: 2011
Etichetta: Frontiers Records
Voto: 6,5
Sito internet: http://www.angelfire.com/il2/kingkobra/
Myspace: http://www.myspace.com/kingkobrarock

Chi si è perso l’hard rock anni ’80 tutto lustrini e paillettes di certo non ricorderà i King Kobra, fondati nell’84 dal batterista Carmine Appice ed esponenti minori del filone glam/hair metal molto in voga in quel periodo. Nella loro breve carriera (1984–1988) pubblicarono quattro discreti album che, anche se non li portarono alla ribalta ai livelli di colleghi più blasonati (Motley Crue, Bon Jovi, Poison, Dokken, Def Leppard, ecc.), riuscirono a creare una certa fama e un buon seguito di fans.
Dopo lo scioglimento e la pubblicazione di alcune raccolte, i King Kobra si riunirono nel 2001 pubblicando un album di inediti (“Hollywood Trash”, passato praticamente inosservato) per poi sciogliersi nuovamente.
Nel 2010 si rincorsero le voci di una reunion con i membri originali (anche se il cantante Mark Free non accettò e al suo posto fu assoldato Paul Shortino dei Quiet Riot) e la pubblicazione di un nuovo album, ovvero questo omonimo “King Kobra”.
Si è sempre un po’ scettici di fronte ai revival nostalgici, ma questo disco, pur suonando tremendamente anni’80 (potrebbe essere stato riesumato da un floppy disk dimenticato in chissà quale cassetto) è davvero un buon prodotto. La miscela è sempre la stessa: hard rock duro e melodico con sprazzi di blues e rock’n’roll che donano ai brani classe e carica e anche un certo “tiro”, come l’opener “Rock This House” o “This Is How We Roll”, due brani per pogare e, perché no, anche da ballare!
La band sembra affiatata, i riff sono classici ma tosti e si danno battaglia con ottimi assoli e su tutto si scatena la voce sporca e graffiante di Paul Shortino, per un risultato davvero sopra la media. Tra i brani migliori, oltre ai due sopra citati, segnalo “We Got A Fever”, “Top Of The World” e “Midnight Woman”.
Nella parte finale c’è spazio anche per una ballad e per un paio di brani non proprio riusciti, ma nel complesso il risultato è positivo.
Ascoltando il disco, per un breve istante si avverte quell’atmosfera fatta di luci colorate che illuminano folli pettinature cotonate/platinate e spandex attillati… Purtroppo però, per il genere troppo retrò, questo lavoro finirà nel dimenticatoio nel giro di brevissimo tempo.

Tracklist

01. Rock This House
02. Turn Up The Good (Times)
03. Live Forever
04. Tear Down The Walls
05. This Is How We Roll
06. Midnight Woman
07. We Got A Fever
08. Tope Of The World
09. You Make It Easy
10. Cryin' Turns To Rain
11. Screamin' For More
12. Fade Away

Lineup

Paul Shortino - voce
Mick Sweda - Chitarra, Sintetizzatori
Steve Fister - Chitarra
Carmine Appice - Batteria

mercoledì 13 aprile 2011

Un classico dal passato: "Them", di King Diamond

Titolo: Them
Autore: King Diamond
Genere: Heavy Metal
Anno: 1988
Etichetta: Roadrunner Records
Voto: 9
Sito internet: www.covenworldwide.org



King Diamond è uno dei miei gruppi storici preferiti.
Me lo fece conoscere un mio amico credo nel ’94 ascoltando in macchina “Eye Of The Witch”, contenuta in “The Eye”, che al tempo era uno degli ultimi album.
Da quel disco nacque la passione per il re, che dura ancora, nonostante le produzioni altalenanti degli ultimi anni.
Di tutta la discografia “Them” è a mio avviso il disco più bello realizzato da King Diamond. Certo “Abigail” è un capolavoro assoluto e indiscutibile, tuttavia tra i due ho sempre avuto una predilezione per “Them”, in quanto penso che questo sia il cd in cui tutti i membri del gruppo esprimano ai massimi livelli la loro capacità tecnica. Per dirla con le mie parole di sempre, “è il disco in cui tutti fanno da matti!”.
La voce di King è fenomenale, spara a mille usando una grande varietà di effetti, molti dei quali si perderanno nei cd successivi. Le chitarre di Andy Laroque e Pete Blakk sono da brivido: distorsione tagliente, riff tecnici per architetture complesse e drammatiche che da soli bastano a creare atmosfere orrorifiche (altroché le tastiere dei gruppi black metal moderni!); assoli veloci, melodici, puliti e ben studiati, figli di una classe unica difficilmente riscontrabile al giorno d’oggi.
Menzione particolare anche per Mikki Dee alla batteria, autore di un drumming tecnico e fantasioso. Non una battuta fuori posto in brani tutti caratterizzati da tempi intricati e sempre diversi.
Prima di addentrarci nell’analisi dei singoli brani, vale la pena ricordare che il disco è un concept album (come tutti i cd di King Diamond), una storia di fantasmi intrigante e agghiacciante scritta interamente da King. Leggere i testi (e la storia) durante l’ascolto rendo tutto più affascinante, e aiuta l’ascoltatore a immedesimarsi nell’universo diabolico del re.
Ed ora la musica.
Un intro inquietante introduce “Welcome Home”, una della canzoni più belle del disco e di King Diamond in generale (è uno dei maggiori cavalli di battaglia dal vivo), un brano malefico dal lento incedere che dopo un bellissimo break parte a palla per finire con un lungo assolo di Andy. Un riff da brivido segna l’inizio di “The Invisible Guests”, altro grandissimo brano suonato quasi sempre dal vivo. Seguono la cadenzata “Tea” e le più classiche “Mother’s Getting Weaker” e “Bye, Bye, Missy”, che fanno da preludio a un’altra tra le canzoni più belle di King: “A Broken Spell”. Particolarmente suggestiva per il testo che narra una scena cruciale della storia del concept (la morte di Missy, arsa viva, e l’omidicio della nonna di King), il brano è un susseguirsi di assoli e cambi di tempo che si interrompono nel break acustico centrale, per riesplodere in un altro lungo e bellissimo assolo sotto il quale incede un giro di basso che si allinea perfettamente al finale della scena: la corsa di King nel bosco in preda al panico per la morte della sorella. Anche in questo caso, per poter apprezzare il brano nella sua totalità, è necessario leggere il testo e immedesimarsi nella narrazione.
Vale la pena aprire una parentesi sul fatto che, anni addietro, King Diamond venne criticato per i suoi testi, o meglio, per una presunta incapacità a scrivere testi. Come sempre è stato il tempo à svelare la verità, tant’è che ancora oggi è impossibile pensare a un cd di King Diamond senza una storia di fondo. Anzi, spesso ci sono più aspettative circa le tematiche affrontate sulla prossima uscita che sulla musica.
La capacità di riuscire a trasformare storie in musica, riuscendo ad abbinare architetture musicali a determinate scene (un momento drammatico o dell’orrore, una fuga, ecc….) è rimasta intatta nel tempo, al di la del risultato finale delle composizioni.
Ma torniamo a “Them”, ormai alle ultime battute. 
Dopo “The Accusation Chair” e la strumentale “Them” è la volta di un altro stupendo brano: “Twilight Symphony”, insolito, tecnico e con numerosi cambi di tempo e un break centrale contraddistinto da un riff pesante e inquietante.
Chiudono “Coming Home” e “Phone Call”, degli outro utili più che altro alla conclusione della storia.
Che dire di più…“Abigail” fu il disco che lanciò King Diamond nell’olimpo del metal diventando un classico degli anni ’80, musicalmente e storicamente. “Them” non fece altro che accresce la popolarità del cantante danese, tant’è che con il disco successivo, “Conspiracy”, venne scritta la seconda parte della storia.
Purtroppo con il passare del tempo la vena creativa è diminuita anche per King Diamond. Dopo “The Spyder’s Lullabie”, che tutto sommato non era male, sono usciti tre dischi piuttosto fiacchi: “The Graveyard” (poco ispirato), “Voodoo” (forse il migliore tra i tre) e “House Of God” (il peggiore di tutti!).
Seguono poi “Abigail pt. II: The Revenge”, un disco molto bello ma ovviamente non paragonabile al prequel e “The Puppet Master”, che ho apprezzato molto, soprattutto per la storia e la sua resa in musica.
L’ultimo album risale al 2007, “Give Me Your Soul…Please”, ed è risultato un mezzo fiasco.
Le ultime notizie ricevute direttamente dal sito ufficiale davano King Diamond in grave pericolo di vita per dei seri problemi al cuore, pare però egregiamente risolti con alcuni interventi.
Si attendono quindi notizie sulla salute, e ovviamente sui progetti futuri.
Lunga vita al Re!

Tracklist

1. Out From The Asylum
2. Welcome Home
3. The Invisible Guests
4. Tea
5. Mother's Getting Weaker
6. Bye, Bye Missy
7. A Broken Spell
8. The Accusation Chair
9. "Them"
10. Twilight Symphony
11. Coming Home

Lineup

King Diamond - All Vocals
Andy La Rocque - Lead Guitar
Pete Blakk - Lead Guitar
Timi Hansen - Bass
Mikkey Dee - Drums

Il video di "Welcome Home"

domenica 10 aprile 2011

Artillery - "When Death Comes"

Titolo: When Death Comes
Autore: Artillery
Genere: Trash
Anno: 2009
Etichetta: Metal Mind Produtcions
Voto: 7
Sito internet: www.artillery.dk




















In attesa chi mi arrivi “My Blood”, uscito da poco tempo, mi sono rigustato il precedente “When Death Comes” dei danesi Artillery e…
…che bastonata ragazzi! Era da tempo che non ascoltavo un bel disco di trash metal vecchio stampo come questo.
Gli Artillery sono uno di quei gruppi che pur essendosi sempre distinti con album di qualità, non si sa perché non ha mai riscosso quel successo commerciale da fare il botto come molti loro colleghi coetanei.
Formatisi intorno all’80-‘81, si sciolsero nel ‘91 dopo aver pubblicato quattro discreti album. Nel 2007 la stampa di settore diffuse la notizia circa l’intenzione dei fratelli Stuerzer di ritornare in attività, e nel 2009 piomba nei negozi questa mazzata di album.
Il sound degli Artillery non è cambiato di molto nel corso degli anni, un mix di tecnica, potenza e melodia maneggiati da mani esperte e sapienti. Su tutto troneggia la voce ruvida e sguaiata di “Nico” Adamsen
Fin dalle prime notte dell’opener “When Death Comes” si viene catapultati in una dimensione di furia e velocità. Suoni potenti e ben definiti (coadiuvati da un’ottima produzione) fanno da cornice a riff diabolici sparati a mille dalle chitarre dei fratelli Stuetzer.
Dopo “Upon My Cross I Crawl” si riesce a trattenere un po’ il respiro (si fa per dire…) con la cadenzata “10.00 Devils” (uno dei pezzi migliori per tiro e potenza) per poi essere nuovamente colpiti dalla mazzata di “Rise Above It All”.
A seguire troviamo “Sandbox Philosophy”: veloce, potente e tecnica, dal refrain melodico molto trascinante che la candida a un altro tra i pezzi migliori.
Con la successiva “Delusions Of Grandeur” si riesce a riprendere un po’ fiato (questa volta davvero) grazie a un brano più morbido e cadenzato.
Gli ultimi quattro pezzi fanno “scricchiolare” un po’ l’ottima impalcatura finora installata, con una “Not A Nightmare” che strizza l’occhio agli Slayer, una canonica “Damned Religion” e le ultime “Uniform” e "The End", meno ispirate rispetto alle altre.
A parte questo indebolimento sul finale, il giudizio è più che positivo: “When Death Comes” è un gran bel disco, ben prodotto e soprattutto ben suonato.
Attendo con ansia di sentire l’ultima prova.

Tracklist

1) When Death Comes - 5:55
2) Upon My Cross I Crawl - 5:29
3) 10.000 Devils - 5:20
4) Rise Above It All - 5:32
5) Sandbox Philosophy - 4:45
6) Delusions Of Grandeure - 5:10
7) Not A Nightmare - 5:30
8) Damned Religion - 5:11
9) Uniform - 5:01
10) The End - 5:22

Lineup

Søren Adamsen - voce
Michael Stützer - chitarra
Morten Stützer - chitarra
Anders Gyldenøhr - batteria
Mikael Ehlert - basso



venerdì 1 aprile 2011

Secret Sphere - "Archetype"

Titolo: Archetype
Autore: Secret Sphere
Genere: Power Metal
Anno: 2010
Etichetta: Scarlet Records Scarlet Reco
Voto: 7
Sito internet:
Myspace: http://www.myspace.com/heartanger





















I Secret Sphere non sbagliano un colpo. Da “Mistress Of Shadowlight” a “Sweet Bloody Theory” si sono sempre distinti nel “marasma metallico” per personalità e capacità tecnica, passando dal power sinfonico degli esordi a un metal più classico e diretto contaminato da un hard rock roccioso e tirato presente soprattutto negli ultimi due lavori. Un marchio di qualità dunque che li ha portati a vivere un momento d’oro nei primi anni 2000 grazie a un importante contratto con la Nuclear Blast, una intensa attività live con tour (anche in America) in compagnia di grossi nomi tra cui Gamma Ray e Freedom Call, un discreto successo in Giappone e un’affermazione in ambito power a livello internazionale. I Secret Sphere insomma si sono guadagnati nel corso degli anni la palma di principali esponenti del metal tricolore.
Il nuovo album “Arhcetype” segue fedelmente l’ultimo corso della band, confermando lo spessore artistico dei singoli musicisti nonostante i vari cambi di lineup.
Aldo Lonobile è in forma più che mai e insieme a Marco Pastorino spara riff e assoli ispirati senza mai cadere nella banalità o nella ripetizione. Tutto il songwriting in generale è ispirato e di alta qualità; nel cd si alternando pezzi veloci e potenti come l’opener “Line On Fire”, “Death From Above” (una delle canzoni più tirate, con chitarre taglienti nel bridge in un bridge davvero bello. Da segnalare questa canzone anche per il testo incentrato sulla morte dei civili nelle zone di guerra a causa dei bombardamenti aerei), “Into The Void”, e brani più rockeggianti come “Future” e “All In A Moment”, in perfetta linea con  l'hard rock di “Heart & Anger”. Da segnalare tra questi “Mr. Sin”, un brano orecchiabile dal ritornello particolarmente catchy che si avvicina molto ai brani più commerciali degli ultimi Helloween: cadenzati, scanzonati, da cantare a squarciagola dal vivo (tipo “Mrs. God” o “Hey Lord”). Anzi, direi che se fossero gli Helloween a pubblicare un singolo con “Mr. Sin”, ne scaturirebbe di sicuro un successone.
I brani sono tutti di ottima qualità, complici linee melodiche eleganti ed accattivanti e, come si diceva prima, una notevole capacità tecnica di tutti i musicisti. Gli assoli sono puliti, melodici e studiati, lo stesso vale per le parti di tastiera (più sporco e impastato invece il suono della chitarra ritmica). Buona anche la prova di Ramon Messina, a mio avviso più a suo agio sui brani hard rock piuttosto che su quelli power incentrati sugli acuti.
Il disco si conclude con la title track, “Archetype”, che fonde elementi power, prog, sinfonici e hard rock, sostenuti da belle melodie vocali e ottimi assoli.
Insomma, con “Archetype” i Secret Sphere si confermano tra i principali esponenti del metal italiano, dimostrando di avere tutte le carte in regola per competere anche con i grandi nomi del metal internazionale

Tracklist

1. Pattern Of Thought (Intro)
2. Line Of Fire
3. Death From Above
4. The Scars That You Can't See
5. More Than Myself
6. Future
7. Mr. Sin
8. Into The Void
9. All In A Moment
10. Archetype
11. Vertigo (European bonustrack)
12. The Look (European bonustrack)

Lineup

Ramon Messina - Vocals
Aldo Lonobile - Guitar
Marco Pastorino - Guitar
Andy Buratto - Bass
Gabriele Ciaccia - Keyboards, piano
Federico Pennazzato - Drums